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Roberto Gerilli

Roberto Gerilli

Ingegnere dello storytelling

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Un perenne insufficiente in italiano che ha deciso di progettare storie

Da grande avrei voluto diventare un fumettista, uno di quelli super-talentuosi che trascorrono le giornate a ritrarre eroi invincibili e villain spaventosi. Purtroppo, però, sono sempre stato il peggiore disegnatore della classe. E sottolineo sempre.

Anche all’asilo, quando i miei compagni imbrattavano i fogli con persone dalle fattezze abominevoli. Fu difficile da accettare: avevo dieci anni ed ero già alle prese con la prima crisi esistenziale.

Poi per il compleanno mi regalarono L’isola del tesoro. Invece di organizzare un sit-in di protesta – io volevo la base spaziale degli Starcom, cazzo! – lo lessi e vidi il mio futuro: guidavo un’auto volante, ero un funambolo del hoverboard fluttuante e, soprattutto, non disegnavo storie, le scrivevo.

Corsi a prendere la vecchia macchina da scrivere di mio padre – quella di mia madre era più bella, e per questo non adatta ai bambini – la piazzai sul tavolo della cucina, accesi la TV per vedere Prince Valiant e iniziai a battere gli indici (solo gli indici) su quei tasti duri e poco collaborativi.

Avevo in mente una storia geniale. Un ragazzino si unisce a una ciurma di pirati e parte alla ricerca di un tesoro. Insieme, approdano su un’isola e liberano un uomo imprigionato nelle segrete di un castello abbandonato. Ripartono e, non si sa bene come, arrivano in Francia. A questo punto, accade quanto segue.

Venimmo accolti da degli amici di Morgan che ci diedero vitto e alloggio per la notte. Quando stavo per coricarmi, sentii bussare alla porta: aprii… Era un servo che mi disse: «Signore che stemma le piacerebbe avere?»
«Un falco; perché?»
«Oh, niente» e se ne andò via. Io un po’ perplesso chiusi la porta e andai a dormire. L’indomani mattina, quando ci svegliammo trovammo fuori dalla porta un’armatura molto leggera con una tunica che bisogna sovrapporre alla precedente. Quest’ultima era di color verde smeraldo con i bordi di color giallo ed al centro un cerchio bianco con disegnato dentro un falco accanto vi era un mantello di color blu e una scritta che diceva “INDOSSALO”.
Ci riunimmo in una stanza i vestiti erano uguali per tutti cambiavano solo i martelli. Morgan l’aveva bianco e gli altri giallo. Ad un certo punto entrò nella stanza il signore del castello e ci disse: «Vi ho fatti fare quei vestiti per farvi diventare cavalieri nel nome del Re di Francia.»

Quello artistico non era l’unico talento di cui ero sprovvisto.

Mi restavano i numeri; con quelli ero bravo, con quelli prendevo sempre il massimo dei voti. Ma come combinare la passione per le storie con la propensione per le equazioni e la logica matematica? Ho impiegato più di vent’anni a capirlo, e alla fine ho scoperto che le narrazioni sono come i dispositivi elettronici: possono essere analizzate, smontate, ottimizzate e riparate. Per costruirle non bisogna per forza avere talento, basta un efficiente progetto ingegneristico.

Non sapevo disegnare storie, quindi, e per imparare a scriverle ho dovuto versare lacrime e sangue, ma progettarle? Oh, sì, a progettare cose sono sempre stato bravo. Ed è così che sono diventato un ingegnere dello storytelling.

5 cose che vuoi sapere di me

  1. Non ho mai avuto la base spaziale degli Starcom;
  2. in casa ho più di milleseicento libri cartacei;
  3. i miei scrittori preferiti sono Stephen King, Chuck Palanhiuk, Nick Hornby e Quentin Tarantino;
  4. nessuno mi ha ancora convinto che Babbo Natale non esiste;
  5. il 5 è il mio numero preferito.

5 cose che non vuoi sapere di me

  1. Adoro il Marvel Cinematic Universe;
  2. mi alzo presto la mattina solo sotto minaccia;
  3. nel 1996 ero in fissa per I breathe dei Vacuum;
  4. vivo sul mare ma non prendo mai il sole;
  5. la Nutella non mi fa impazzire (ma i Pan di stelle si).
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